Venerdì mattina Alessio Sperlinga ha tenuto una lezione su computer, algoritmi e intelligenza artificiale.
Il computer è una macchina universale, e il loro utilizzo si sta sempre più affermando nel mondo del lavoro.
Una macchina è un qualsiasi manufatto costituito da almeno due parti di cui almeno una si muova. Anche nell’essere umano esiste un meccanismo di movimento e di trasmissione delle informazioni: in particolare i neuroni sono cellule specializzate proprio per ricevere determinati dati e trasmetterli ad altri neuroni, formando, così, una rete neurale. Come esseri umani possiamo, però, sbagliare. La macchina, invece, non sbaglia mai: si limita ad eseguire dei comandi che noi umani le diamo, si può rompere ma non si ferma ed, inoltre, non ha bisogni simili ai nostri (riposare, mangiare..).
Ma come si comanda una macchina? In termine tecnico si dice programmare e la programmazione avviene attraverso algoritmi, sequenze di comandi interpretabili in modo univoco, che si concludono sempre e in un tempo limitato. Per il funzionamento degli algoritmi è necessaria e fondamentale la logica che dipende, secondo Aristotele, dal modo in cui esprimiamo un significato. È importante, dunque, il modo in cui noi esprimiamo un comando, perché il computer non è in grado di comprendere il linguaggio umano nella sua complessità, per esempio non comprende le figure retoriche quali la metafora o la metonimia.
Abbiamo introdotto, poi, il tema dell’intelligenza artificiale (IA): ogni aspetto dell’apprendimento o qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza può, di principio, essere così precisamente descritta che una macchina è in grado di simularla.
John von Neumann, matematico, fisico e informatico degli inizi del 1900, afferma che se l’informatica diventa talmente capace da poter superare la ratio umana, l’intelligenza umana non ha più senso di esistere, diventa inutile. Ad oggi possiamo già parlare di deep learning, ovvero di capacità delle macchina di apprendere e autoapprendere, ottimizzando le reti d’apprendimento come delle reti neurali.
Alessio ci ha fatto fare un gioco a gruppi per comprendere meglio il concetto di rete neutrale e la potenzialità dell’intelligenza artificiale. Il gioco consisteva in un’asta al ribasso per comprare un camper da 10000€: ci siamo divisi in tre famiglie, ognuna delle quali doveva offrire una somma di denaro cercando di arrivare ad un totale comune il più vicino possibile all’obiettivo stabilito di 10000€. Le offerte erano private, dunque nessun gruppo sapeva quanto offrissero, di volta in volta, gli altri due gruppi. Durante il gioco è stato necessario fare almeno 3 round per ridurre sempre di più l’errore, definito come differenza tra obiettivo e risultato. Noi ci abbiamo messo circa 20 minuti per “risolvere” il quesito, mentre un computer riesce a risolvere lo stesso problema in una frazione di secondo. Oltre all’importanza nello sviluppo nell’ambito industriale, AI ha anche delle potenzialità in campo medico, per questo è giusto riconoscere la sua importanza nel mondo e riuscire a convincere con la sua utilità per alleggerirci la vita.
Durante l’incontro del pomeriggio, abbiamo potuto fare la conoscenza di Luciano Gualzetti.
Gualzetti frequenta l’ambiente dell’oratorio fino a diventare un educatore e, sentendosi particolarmente affine a quel mondo, prova a capire dove può portare questa sua sensibilità per l’educazione e viverla in una prospettiva più adulta.Da sempre si sente molto attratto dalla dimensione di servizio agli altri, agli ultimi e, per questo, intraprende anche gli studi da assistente sociale. Entra a far parte della Caritas, diventando prima responsabile decanale, poi responsabile di zona, fino a diventare il primo laico direttore della Caritas Ambrosiana. Tra le sue missioni c’è anche la Fondazione San Carlo, che si preoccupa, in particolare, di trovare delle case per le fasce deboli. L’obiettivo di questa fondazione, ma anche della Caritas, è quella di mettere queste persone nelle condizioni di costruire il loro futuro: bisogna fornire loro delle possibilità, delle opportunità che, poi, devono essere colte. Non bisogna camminare per loro, ma bisogna aiutarli ad imparare a camminare con le loro gambe. Gualzetti si rende conto che molte persone che si rivolgevano alla Caritas correvano, in concreto, il rischio di indebitarsi e di cadere nella trappola dell’usura. Ecco il motivo che sta alla base della nascita della Fondazione San Bernardino, una fondazione, appunto, antiusura che sostiene e aiuta le persone che si trovano in queste situazioni.
Gualzetti sottolinea più volte l’importanza di comprendere le cause che stanno alla base di certe situazioni: quando hai davanti un povero, una vittima, una persona in difficoltà, devi soccorrerla, aiutarla ma devi anche immediatamente cercare di capire le cause che l’hanno portata ad arrivare a quella situazione. Facendoti questa domanda capisci la traiettoria che lo ha fatto arrivare lì e capisci anche quale traiettoria prendere per riportarlo alla situazione di partenza. Bisogna rimuovere le cause che lo hanno portato a fare determinate scelte. Dobbiamo cambiare sguardo nei confronti di queste persone e capire cosa si può fare, lui e noi, per cambiare le cose, per lui e per tutti.
La Caritas è un’espressione della Chiesa: la Chiesa cerca di annunciare a tutta l’umanità che c’è un Dio che ama tutti allo stesso modo. Bisogna lavorare perché tutti abbiano questa pari dignità e perché possano vivere, non sopravvivere. Per questo la Caritas cerca soprattutto di cambiare la mentalità, aiuta le persone a riconoscere il proprio valore, riacquistare la fiducia in se stessi. Il maggior successo infatti è quando le persone che si sono rivolte alla Caritas tornano e capiscono che la vita è bella se donata e condivisa.
Il secondo ospite del pomeriggio è Diana Mac William.
Diana nata in Sudafrica da genitori inglesi si considera cittadina del mondo. Ha partecipato ad un corso di volontariato ed è subito entrata a far parte dell’associazione Fabio Sassi come volontaria per i pazienti domiciliari.
Dall’Inghilterra importa l’idea degli hospice, strutture dove poter accogliere pazienti terminali e accompagnarli con cure palliative fino al momento del decesso.
L’idea di fondo è quella di donare ai pazienti una morte dignitosa: “non bisogna fare attenzione solo alla vita ma anche all’importanza del morire bene” afferma Mac William. Le cure palliative hanno come scopo quello di portare il malato e i suoi famigliari ad avere una serenità nel momento della fine della vita.
Un episodio che le è rimasto impresso nella memoria e l’ha fatta credere nelle cure palliative è la visita a domicilio a una paziente. Quest’ultima consapevole della sua situazione, sapeva di avvicinarsi alla morte, ma al contrario suo figlio e marito non ci volevano credere e per questo continuavano a ripetere alla madre/moglie che non stava per succedere “stai bene, non stai morendo”, per questo la paziente non poteva affrontare discorsi in merito alle sue volontà post morte. Così facendo si finisce per isolare il malato, è quindi importante portare sia il paziente che la sua famiglia alla consapevolezza della malattia, è più semplice per tutti. Le speranze non sempre sono positive per il malato, a volte sono solo causa di ulteriore sofferenza.
Diana, con tutta la sua forza e determinazione, ci racconta tutti gli ostacoli e le difficoltà che ha dovuto affrontare per concretizzare il suo progetto, e con questo ci sprona a non abbatterci mai. Quando abbiamo un progetto in cui crediamo fino in fondo, niente e nessuno possono e devono fermarci, dobbiamo lottare per quello in cui crediamo!
Rebecca Delazzari