Irene Bertoglio, grafologa iscritta all’Associazione Grafologi Professionisti, ha aperto la giornata del 18 Aprile, tracciando un quadro della grafologia che, attraverso l’esame scientifico della scrittura, rivela la personalità dello scrivente. Si tratta di una disciplina estremamente complessa, con legami molto stretti con le neuroscienze, e risvolti professionali variegati, che spaziano dalle perizie grafico-giudiziarie, al settore medico con la rilevazione di disagi psicologici, dall’ambito scolastico con la rieducazione dei bambini disgrafici, all’orientamento e alla consulenza in ambito aziendale. Lo studio della scrittura permette infatti di individuare aspetti del carattere di una persona che potrebbero essere determinanti in un colloquio di lavoro: ad esempio le attitudini intellettive, l’area relazionale, il piano affettivo, lo stato psicofisico. Tali elementi sono indagati partendo da alcuni parametri quali la pressione scrittoria, il posizionamento spaziale del testo, la dimensione della scrittura, l’inclinazione degli assi, il legame delle lettere e la loro forma e movimento, la direzione del testo e della firma. Bisogna però tenere presente che il grafologo dà pareri motivati, non giudizi o verdetti, inoltre ogni segno va necessariamente contestualizzato per rifuggire da facili schematismi e semplificazioni. Solo partendo da queste premesse si possono definire dei “tipi” legati ai tre stadi della personalità individuati da Freud, ai quattro colori della psiche di Jung e ai quattro temperamenti ippocratici. I ragazzi hanno potuto vedere concretamente alcuni esempi di differenti scritture e a loro volta lasciare un testo scritto perché possa in seguito essere oggetto di studio.
L’oratore successivo è stato Gaetano Chiappa, che per molti anni ha curato la manutenzione degli stabili del Comune di Lecco e ha affiancato questa attività a quella di responsabile della Caritas e del Gruppo di Protezione Civile provinciale. L’esperienza maturata in questi ambiti gli ha permesso di entrare in contatto, sul territorio, con numerose situazioni difficili, in molti casi seguite ad eventi catastrofici che apertamente avevano rotto schemi assodati. Accanto a questi fenomeni palesi esistono però tragedie silenziose, simboleggiate da Icaro, metafora dell’invisibile: si tratta delle “nuove povertà”. Tra queste la povertà di scolarizzazione che è causa e conseguenza di quella di conoscenze e cultura, ma anche povertà di esperienze, professionalità e risorse economiche. Inoltre la “povertà di età”: perché sono pochi i giovani che riescono ad inserirsi con successo nel mondo del lavoro, e molti coloro che verso i cinquant’anni ne vengono esclusi, povertà che è anche di relazioni (separazioni, rifiuto della vita..), infine povertà intesa come solitudine e perdita della stima di sé stessi. Si tratta di mancanze fra di loro concatenate che vanno a tracciare una linea di non ritorno che suggella, per chi la oltrepassa, una grave emarginazione, quasi un’impossibilità fisica di reinserirsi nella società. La vera sfida è oggi quella di trovare generosità più che soldi, poiché in un mondo che può contare su molteplici canali di comunicazione, le persone si sono paradossalmente allontanate: così è andato purtroppo perduto il “rapporto di vicinato” che in passato costituiva una vera e propria rete sociale.
Marisa Fondra, sindaco di Taceno, con la sua testimonianza ha concluso la mattinata: i partecipanti hanno potuto ascoltare il racconto delle vicende che l’hanno portata per due volte a ricoprire tale carica, senza dimenticare le difficoltà legate alla gestione di un piccolo comune, ma anche i successi che l’hanno motivata. Un’analisi sincera e a tratti commossa, costellata di parole chiave come “curiosità” e “determinazione”, indispensabili quanto il “coraggio” e un pizzico di “incoscienza”, per finire con l’importanza di “fare rete”.
Il pomeriggio ha visto protagonista Angelo Cortesi, presidente di Anccem, Associazione nazionale dei mollifici italiani, che ha trattato il tema della Responsabilità Sociale di Impresa. I ragazzi hanno provato a dare una loro definizione di quella che è “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche da parte delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”, ossia il contributo delle aziende nel miglioramento della società e nel rispetto dell’ambiente. Analizzando la questione dal punto di vista legislativo esiste la norma S.A. 8000, utile nel caso di delocalizzazioni in paesi del Terzo Mondo, e la ISO 26000 che fornisce linee guida per più di 80 paesi. Anche se talvolta le certificazioni sono cercate dalle imprese a scopo di business, la situazione attuale è tale che non contano le motivazioni dietro a questa cultura di responsabilità, ma è importante garantire una diffusione quanto più ampia. Anni di comportamenti sconsiderati hanno determinato infatti emergenze di notevole entità: prima fra tutte quella ambientale, ma anche quella legata alla povertà. Importanti anche le problematiche sollevate dalla “finanza Frankestein” che esaspera la massimizzazione del profitto, attraverso operazioni che non hanno limiti spaziali e temporali. Si è determinato così un passaggio dal “free market” al “greed market”: il mercato dell’avidità. Questo clima non può che aver causato, infine, una crisi della felicità: in un’economia caratterizzata dalla crescita e dal consumo sfrenato, una volta soddisfatti i bisogni primari, i media producono sempre nuovi desideri, che dobbiamo soddisfare acquistando prodotti che ci faranno sentire completi. Questi ultimi però sono a loro volta caratterizzati da un’“obsolescenza programmata”, quindi ben presto verranno sostituiti da altri e altri ancora, lasciandoci perennemente insoddisfatti. Oggi il PIL dovrebbe misurare il benessere della popolazione di uno stato ma, essendo legato a fattori economici, paradossalmente sale con le catastrofi: il vero bene-essere della società, la vera felicità va progressivamente nel senso opposto come indicato dal Paradosso di Easterlin. Per questo è stato creato il BES, Benessere Equo Solidale, che dovrebbe affiancare il vecchio indice.
E’ necessario dunque recuperare una visione dell’economia come quella teorizzata, a metà ‘700, da Antonio Genovese, che vedeva il mercato come una forma di “amicizia”, una relazione sociale fra individui e non numeri. Adam Smith, padre dell’economia politica, invece sterilizzerà l’economia dall’emotività, proclamando il “mutuo vantaggio” raggiunto però attraverso il perseguimento dell’interesse personale, in un gioco a somma zero, dove il guadagno dell’uno è la perdita dell’altro.
Ma è possibile pensare oggi ad un’economia che abbia al suo centro la persona e le relazioni, senza cadere nel mondo del “no profit”? Sul finire del 2010 a Vienna ci sono riusciti: 400 aziende e 70 organizzazioni hanno sostenuto il modello di “Economia del Bene Comune” di Christian Felber. Oggi, 1700 aziende, di cui molte italiane del Trentino Alto Adige, aderiscono a questo progetto che prevede una banca che, secondo una matrice con un asse dedicato alle parti interessate (fornitori, finanziatori, dipendenti, clienti ecc.)e un secondo destinato ai valori (quali dignità umana, solidarietà, eco sostenibilità, equità sociale, trasparenza e democrazia ecc.), assegna dei punteggi alle aziende, in base ai quali dà crediti e finanziamenti.
Si tratta di uno strumento che permette anche ai consumatori di fare la propria scelta in maniera responsabile, in quanto ‘acquistare’ significa ‘votare con il portafoglio’. Una società responsabile si può infatti costruire solo con persone, e dunque imprese, responsabili: ogni nostra azione per quanto piccola, se concreta, ha un suo valore.
By Chiara Vassena