Piero Guasco venerdì 6 giugno ha tenuto una lezione sulla leadership, ovvero la capacità di guidare un gruppo, quest’ultimo infatti è uno dei due poli indispensabili: senza seguaci non ci può essere un “leader”, termine spesso abusato e trattato quasi come una “parolaccia”, ma che racchiude invece una relazione molto delicata tra capo e collaboratori. Dopo la definizione iniziale, si è cercato di fare il “punto nave” per riassumere il percorso fatto: dalla comunicazione, con le sue tre leggi e gli apici della stella della relazione, ai cinque pilastri della mediazione, per arrivare al “palazzo dei processi”. Quali processi? Quelli manageriali, le quattro colonne che dalle fondamenta della comunicazione e negoziazione, conducono ai piani alti, dove ha sede la relazione capo collaboratore. Dei quattro processi: motivazione, controllo, biasimo e delega, abbiamo indagato nel dettaglio il primo e l’ultimo. La motivazione è estremamente importante: il capo deve essere d’esempio al collaboratore, a cui deve sempre comunicare con precisione le direttive, senza affidarsi al “buon senso” per non rischiare fraintendimenti. E’ importante anche dare un feedback concreto, dei riscontri precisi, ma attenzione alle parole: esistono modi diversi per esprimere un medesimo concetto. Infine fondamentale attenersi ai risultati e non cadere nell’emotività, ma continuare ad imparare, ovvero crescere personalmente e far crescere i nostri collaboratori. Questo in teoria, ma in pratica? I ragazzi si sono divisi in piccoli gruppetti provando a definire in cosa consista la “motivazione” e in cosa la “manipolazione”. E’ emerso che tutti conferivano alla prima un’accezione positiva, un’azione improntata sulla condivisione degli obbiettivi: il capo fa nascere nel collaboratore un “buon motivo” per fare una certa cosa, il dipendente dunque trova dentro di sé la spinta e la forza per portare a termine un compito, perché lo ritiene importante e ne condivide le finalità. Al contrario la manipolazione è qualcosa di negativo, che ha a che fare con i sotterfugi, che prevede l’uso dell’altro come uno strumento, e ha alla base una mancata trasparenza delle motivazioni. In realtà, con grande sorpresa, Piero ha rivelato che si tratta di due strade, egualmente valide dal punto di vista “morale”: esistono infatti persone che vogliono essere manipolate, ossia preferiscono che si dica loro cosa fare senza ulteriori complicazioni e coinvolgimenti, perché il lavoro rimane per loro un dovere e nulla più. La differenza, come avevano giustamente individuato i partecipanti del master, sta proprio nella condivisione di opinioni, che non significa banalmente “mettere l’altro a conoscenza di” ma farlo diventare parte attiva, dunque scambiarsi le idee e accoglierne le osservazioni. Un buon leader deve però attuare una leadership dinamica, cioè capire se ha di fronte un collaboratore che vuol essere manipolato o motivato: non esiste una via “giusta” in assoluto, ma è indispensabile valutare di volta in volta la situazione. L’attività seguente ha visto i ragazzi per una volta nel ruolo del “capo” che di volta doveva motivare Piero, un venditore che non aveva rispettato l’obbiettivo pattuito, per tutta una serie di ragioni. Apparentemente quello di chi ha potere, può sembrare un ruolo semplice: invece si è rivelato più complicato del previsto. Alcuni partecipanti si sono lascati “sottomettere” dal dipendente, altri si sono arrabbiati e l’hanno quasi “licenziato”, ma con difficoltà si è arrivati a definire una possibile strategia: in primo luogo è fondamentale prepararsi su ciò che serve e dunque conoscere tutto del proprio collaboratore. Secondariamente è importante mettere in luce le positività, facendo anche complimenti motivati sui fatti. Una volta mostrato al dipendente che si ha fiducia in lui, si può chiedere un obbiettivo più ambizioso: l’altro a questo punto può rifiutare o accettare. Nel primo caso si attua un modello direttivo: il collaboratore non ha capito la nostra fiducia e dunque gli si chiede di dimostrare il proprio impegno con verifiche del proprio lavoro, nel secondo caso entra in gioco il Q.A.P. (Quale Azione Proponi): incomincia la condivisione. Nella delega, invece, si fa riferimento ad un vero e proprio processo di “slegatura” in cui il capo si toglie un incarico e lo affida a qualcun altro. In realtà così facendo, non si cede semplicemente un’incombenza, ma una vera e propria parte di potere: si da’ fiducia ad un’altra persona, permettendogli di scegliere al posto nostro e, contemporaneamente, crescendo con lui. Il dipendente sarà infatti autonomo e avrà potere decisionale, ma la responsabilità sarà in “fotocopia”, nel senso che anche il superiore che delega dovrà essere in grado di rispondere delle scelte del sottoposto. Per questo come sempre è indispensabile la preparazione (decidere l’oggetto della delega, valutare se un gesto di rinuncia è vissuto con positività, elaborare un metodo tecnico di passaggio). Di primaria importanza anche scegliere con cura il destinatario della delega: qualcuno che condivida i nostri valori, abbia il giusto potenziale e possa essere “allenato” al fine di tradurre gli obbiettivi in risultati. Ovviamente la delega va comunicata in modo formale: chiarendo l’oggetto, la motivazione della scelta di un candidato, ma anche la situazione attuale e l’obbiettivo. Questi due ultimi punti, una volta verificata la disponibilità dell’altro ad accettare la delega, dovranno in realtà essere negoziati con il dipendente poiché devono essere definiti di comune accordo. Ritorna la Q.A.P., ossia la condivisione e la partecipazione: sempre insieme va definita la strada da seguire, con assunzione di responsabilità, solo a questo punto si può comunicare la decisione a tutti quanti. Il lavoro non è finito anzi, proprio nel momento in cui gli altri vengono a sapere della scelta incominciano i “rumors” e le maldicenze. Il capo deve, come un ombrello, proteggere il dipendente scelto dalle invidie altrui. Solo una volta completamente autonomo il collaboratore potrà fare a meno di questa protezione, ma attenzione si tratta di un’occasione più unica che rara, una volta revocata, la delega non va mai ridata.
By Chiara Vassena